[la Pagina del Capitano]

domingo, marzo 02, 2003


Nel continuare l’indagine mi era balenata quella che mi sembrava essere un’idea geniale: andare a ripescare il primo post di alcuni blog e vedere come i vari autori si presentavano e presentavano la loro iniziativa.
Appunto, “mi sembrava”. In realtà, fra quelli che ho visitato, quasi nessuno si è posto il problema di andare oltre un semplice “eccomi qua”. Il fatto è che almeno la metà dei blog tratta argomenti strettamente personali, (l’altra metà si divide in recensioni di diverso genere, impressioni su vari argomenti, storielle più o meno divertenti) per cui, evidentemente, gli autori danno per scontato che il blog sia una specie di diario su cui annotare impressioni ed esperienze personali mettendole a disposizione di tutti. Nella peggior tradizione delle peggiori ‘zine emo, insomma (non a caso Rumore, in maniera un po’ discutibile, collega il fenomeno blog con l’indie rock e dintorni).
Ovviamente nessuno è obbligato a leggere queste cose, ma quello che mi interessa, per ovvie ragioni, è il punto di vista dell’editore. Davvero è convinto di scrivere cose che interessino a qualcuno? Ha dei riscontri in tal senso? Ripesco una citazione fatta qualche riga sotto “comunicare, comunicare, comunicare, è davvero tutto qui?”. E rispondo: no. O almeno bisogna fare dei distinguo. Innanzitutto, comunicare cosa?

Di blog si è parlato molto ultimamente sui giornali, il già citato Rumore, Duel, La Repubblica, solo per fare alcuni nomi, e spesso si è messo in luce il potenziale rivoluzionario di tale mezzo informativo dal basso. Ma perché questo avvenga, perché sia realmente rivoluzionario, bisogna che abbia la capacità di rappresentare esperienze comuni, su cui si possa creare un minimo di discussione (l’essere mollati dalla morosa quindi è escluso), altrimenti dov’è il senso? La possibilità di esprimere sé stessi e le proprie opinioni può essere rivoluzionaria, ma è un attimo rendere il tutto inutile. Diceva Aiki che nel leggere i blog le piace, fra le alte cose, notare il narcisismo dell’autore; il fatto che spesso è solo quello ad emergere, e a prescindere dai contenuti.
Un milione di anni fa i Downcast, nel libretto allegato al loro LP, scrivevano che l’hardcore non è una minaccia […] È moda e pomposità, spesso niente più di qualche numero di meschino ego all’interno di un circolo e raramente qualcosa più di manifestazioni di autocompiacimento. Ora il discorso non riguarda più una scena ristretta, i mezzi di comunicazione sono cambiati, la visibilità non è più solo appannaggio dei soliti noti; eppure quel discorso resta ancora valido.


Home