[la Pagina del Capitano]

viernes, noviembre 15, 2002


Lungo silenzio a causa del trauma di Brescia-Empoli 0-2, tipico esempio dei paradossi e dell’amoralità del calcio, in cui a una sconfitta meritata (per disattenzioni ed errori) corrisponde un’immeritata vittoria o, se volte, a un risultato giusto (nessun errore arbitrale, nessuna possibile contestazione) fa da controparte la vittoria di una squadra che non profonde il minimo impegno per ottenerla.
Dopo qualche giorno di incazzatura mi affido , per riprendermi, a un disco e a un film.
Il primo è Trouble man (Motown, 1972) di Marvin Gaye, colonna sonora dell’omonimo, misconosciuto film (da noi è uscito con l’orrido titolo di Detective G.), spesso indicato fra i capolavori dell’autore e delle soundtrack blaxploitation. Rispetto a dischi simili e contemporanei qui le atmosfere sono decisamente più morbide, gli archi abbondano (in puro stile Motown), i momenti in cui basso e percussioni si dedicano a trame soul funk sono ridotti al minimo, preferendo atmosfere più malinconiche, quasi jazzate. Il disco così è meno trascinante all’ascolto e tutto sommato, pur essendo abbastanza omogeneo musicalmente, sembra sopportare male la mancanza delle immagini, abbandonandosi a brani “generici” e poco evocativi. Una parziale delusione.
Il film è El Alamein di Enzo Monteleone; non la storia della battaglia, rivelata solo da un rapido combattimento, dai bagliori delle artiglierie che illuminano l’orizzonte e dalle scarse notizie che arrivano ai protagonisti, ma uno sguardo su una generazione in guerra, al di là dell’ideologia e della retorica. Generazione in guerra non in un luogo qualsiasi, ma in un deserto che, splendidamente fotografato, diventa esso stesso protagonista con la sua bellezza e la sua forza che si impone sopra gli uomini e sopra il film, dando forma, con il suo paesaggio vuoto, a una specie di poetica dell’assenza che pervade tutta la storia: assenza di rifornimenti, di munizioni, di mezzi, di ordini, di coordinamento, assieme al progressivo svuotarsi degli entusiasmi e delle convinzioni. E dalla privazione emerge l’essenziale, la vicenda di un gruppo di uomini che, con quasi un anno di anticipo, sperimenta la tragedia dell’8 settembre, tra dubbi, episodi di cameratismo, voglia di sopravvivere e dignità, rimanendo, piaccia o no, giusto o sbagliato, soldati fino alla fine.
Un film che andrebbe accostato a “I nostri anni” di Daniele Gaglianone, altra opera che si impegna a tenere viva la memoria al di là di quello che raccontano i manuali di storia.
Infine, un plauso per la colonna sonora, anch’essa in sintonia con lo spazio desertico, lunghi drone acustici e canti di muezzin.


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