[la Pagina del Capitano]

sábado, agosto 31, 2002


Dopo lunghe ricerche, finalmente una vera colonna sonora anni ’70. Isaac Hayes compose le musiche di Shaft (Stax, 1971) per l’omonimo film di Gordon Parks che inaugurava il genere blaxploitation e, grazie anche al buon successo della pellicola, raggiunse il primo posto nelle classifiche R&B. Perché il bello è che il CD (in origine doppio LP) è godibilissimo anche senza il supporto delle immagini, pur annoverando solo tre pezzi cantati su quindici e presentando spesso atmosfere tipicamente da colonna sonora anni ‘70 (quelle, per intendersi, rispolverate dai Beastie Boys di “The in sound…”). Merito certamente delle dosi massicce di soul e R&B, dovute alla presenza di musicisti quali i Bar-Kays, già con Otis Redding, e i Memphis Horns and String, che danno al disco un tocco solare, vario ma mai disomogeneo.
Così, a momenti rilassati, dove il piano e i fiati strascicati la fanno da padroni e i curati arrangiamenti di Hayes imbrigliano a stento le improvvisazioni di sax (ascoltate “Early sunday morning”), si alternano senza soluzione di continuità il ritmo teso e la chitarra “wah-waheggiante” della celeberrima “Theme from Shaft, la scheggia R&B di “Shaft’s cab ride”, il classico soul cantato di “Soulsville”, la camminata nervosa nei sobborghi guidata dal basso di “Walk from Regio’s” e ancora il R&B selvaggio di “Be yourself”.
E quasi in chiusura, splendidamente rivelatore nel marcare analogie e differenze con le contemporanee colonne sonore “bianche”, ecco il ritmo serrato del basso e delle percussioni accompagnati dai fiati in primo piano di “No name bar”: sarete di nuovo catapultati in macchina a pattugliare la città a bassa velocità, ma è giorno, il sole batte forte e le strade sono ravvivate dai colori pastello dei quartieri neri; d’altronde, questa è Harlem.

Unica nota negativa, l’edizione digipack scarsissima di notizie (nel pieghevole allegato, oltre ai credits, solo la storia dell’etichetta e la sinossi del film) e con un’inutile (dannosa?) traccia rom autocelebrativa della Stax. Nulla di particolarmente grave, non fosse che la sua presenza costringe (?!?) a tagliare e sfumare “Do your thing”, riducendola dagli originali 19’ 38” a soli 4’ 40”. Roba da lapidazione.


martes, agosto 27, 2002


Avendo inserito fra gli argomenti che avrei trattato in questo blog i libri e “ magari il calcio”, prendo due piccioni con una fava e vi parlo di Questa pazza fede- l’Italia raccontata attraverso il calcio di Tim Parks (Einaudi). Riuscite a immaginare qualcosa di peggio? Un libro sugli Ultras del Verona scritto da un inglese tifoso gialloblu. Scoraggiante. Avevo tra l’altro “incontrato” per la prima volta l’autore sulle pagine de La Stampa, in occasione della retrocessione in B degli Scaligeri, con un pezzo che più che altro era un lungo piagnisteo, anche discretamente confuso.
Il tono del libro spesso non si discosta da quello dell’articolo: smaccatamente di parte (giustificando ogni comportamento degli Ultras veronesi, a scapito di polizia e tifoserie avversarie); ingenuo, talvolta fastidiosamente, nel cercare di analizzare i meccanismi che animano la fede calcistica; irrisolto nel tentativo di raccontare l’Italia attraverso il calcio (compito comunque troppo ambizioso già in partenza, dato che il “tifoso da stadio” è oramai una minoranza quasi irrilevante nel panorama nostrano, tanto sportivo quanto sociale).
Eppure, se almeno una volta avete messo piede sugli spalti, non potrete evitare di emozionarvi per le vicende narrate, di riconoscervi in certi comportamenti e modi di pensare (e in questo senso neppure la parzialità mi sembra più un difetto), di simpatizzare per i personaggi della curva (del Verona?!? Ebbene sì!). Potrete cercare, e questa è stata una delle cose più stimolanti, analogie e differenze fra la realtà del Verona e quella della vostra squadra (soprattutto se tifate una provinciale; con le grandi immagino ci siano pochi punti di contatto).
Oltretutto lo stile è scorrevole, certe contraddizioni intelligentemente sottolineate, i giudizi (su calciatori, dirigenti, giornalisti) espressi senza peli sulla lingua, equamente distanti sia dal buonismo imperante che dal politicamente scorretto a tutti i costi. Non mancano neppure alcune illuminanti intuizioni; una su tutte, il calcio come luogo di incontro/scontro tra il localismo (la tifoseria) e la globalizzazione (la squadra “multinazionale”).
Un piccolo libro; non farà capire a vostra mamma il popolo degli stadi, ma se lo leggerete con un po’ di (auto)ironia vi piacerà.

E intanto quest’anno il campionato inizia con due settimane di ritardo. Merda.


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